Morbo di Parkinson: cause, sintomi, progressione, cure

Morbo di Parkinson: cause, sintomi, progressione, cure

25/Mar/2024 | in Salute
Morbo di Parkinson cause, sintomi, progressione, cure

Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa, a carattere progressivo, che colpisce il sistema nervoso centrale, in particolare l’area cerebrale coinvolta nella produzione di dopamina, un neurotrasmettitore fondamentale al controllo dei movimenti del corpo. Nel 2019, l’OMS ha stimato che i malati di Parkinson nel Mondo erano oltre 8,5 milioni, aggiungendo che negli ultimi 25 anni la prevalenza della malattia è raddoppiata; nella stessa nota, riportava anche che, sempre nel 2019, in tutto il Mondo, i decessi per Parkinson sono stati circa 329.000. Ricordiamo agli iscritti che i Piani Sanitari del Fondo Sanimoda prevedono la copertura delle spese per trattamenti fisioterapici riabilitativi, prescritti dal medico di famiglia o da uno specialista la cui specializzazione sia inerente alla patologia denunciata, per i pazienti affetti dal Parkinson. Inoltre, offrono la possibilità di avere un secondo e qualificato parere da parte di un medico UniSalute su una diagnosi precedente di Parkinson, completo di indicazioni terapeutiche utili per trattare la patologia in corso. Per tutti i dettagli, invitiamo a consultare il sito web, qui. Approfondiamo insieme, e analizziamo con maggiori dettagli cos’è il morbo di Parkinson, quali sono le cause e i sintomi, quali sono gli esami per la diagnosi e quali sono le terapie attuali più efficaci.

Che cos'è la malattia di Parkinson?

Anche noto come morbo di Parkinson, la malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa che colpisce il sistema nervoso centrale. Generalmente, è una condizione progressiva: di solito, infatti, esordisce con una sintomatologia lieve, la quale però peggiora con il passare del tempo fino a compromettere in modo drastico la qualità di vita del paziente. La malattia di Parkinson interessa prevalentemente la popolazione di età superiore ai 60 anni; tuttavia, esistono anche forme giovanili, che abbassano l’età media di insorgenza (tra i 58 e i 60 anni). Il Parkinson colpisce più frequentemente gli uomini che le donne.

Parkinsonismo secondario

L’espressione Parkinsonismo secondario si riferisce a una condizione che, dal punto di vista dei sintomi, mima in tutto il morbo di Parkinson, ma che, per quanto concerne le cause, non presenta alcuna corrispondenza. Infatti, mentre il morbo di Parkinson è dovuto a una degenerazione della substantia nigra, il Parkinsonismo secondario è conseguente a fattori completamente diversi, quali:
  • tumori cerebrali;
  • farmaci (es: metoclopramide per il trattamento della nausea);
  • traumi cerebrali;
  • encefaliti;
  • AIDS;
  • meningite;
  • malattia di Wilson;
  • overdose di narcotici;
  • ictus.

Parkinsonismo atipico

L’espressione Parkinsonismo atipico si riferisce a una condizione che si manifesta in modo simile al morbo di Parkinson, ma che, a differenza di quest’ultimo, non risponde al trattamento con levodopa, il principale farmaco impiegato nella gestione del Parkinson. Il Parkinsonismo atipico è sempre una patologia neurodegenerativa, ma colpisce aree cerebrali differenti dal Parkinson vero e proprio, e comprende una serie di condizioni, tra cui:
  • l’atrofia multisistemica;
  • la paralisi sopranucleare progressiva;
  • la demenza a corpi di Lewy;
  • la sindrome corticobasale.
Tutte queste patologie si caratterizzano per l’accumulo anomalo, in sede cerebrale, di aggregati proteici che pregiudicano la salute dei neuroni colpiti.

Parkinsonismo giovanile

L’espressione Parkinsonismo giovanile comprende tutte quelle forme di morbo di Parkinson che compaiono prima dei 60 anni. In realtà, secondo quanto affermano gli esperti, sarebbe più corretto parlare di Parkinson giovanile e Parkinson a esordio precoce. Il Parkinson giovanile è una forma molto rara della malattia, che insorge prima dei 21 anni, mentre quello a esordio precoce è una forma più comune, che può presentarsi tra i 21 e i 40 anni.

Quali sono le aree del cervello colpite?

La malattia di Parkinson colpisce un’area dell’encefalo chiamata substantia nigra (o sostanza nera di Sommerring o, semplicemente, sostanza nera). Più precisamente, la substantia nigra è una formazione di neuroni (nel linguaggio neuroanatomico, si parla anche di nucleo) localizzata a livello del mesencefalo, la porzione più apicale del tronco encefalico. In realtà, l’appartenenza al tronco encefalico è solo apparente: la substantia nigra, infatti, agisce sotto la guida dei cosiddetti nuclei della base, formazioni di neuroni appartenenti al telencefalo, ossia il cervello propriamente detto. Essa è la principale sede di formazione del neurotrasmettitore dopamina, il quale, tra le varie funzioni, gioca anche un ruolo chiave nel controllo e nella coordinazione dei movimenti del corpo.

Quali sono le cause del Morbo di Parkinson

Il morbo di Parkinson insorge in seguito alla morte o al malfunzionamento dei neuroni dopaminergici appartenenti alla substantia nigra; i neuroni dopaminergici sono quelli deputati alla produzione della dopamina, un neurotrasmettitore che il cervello umano utilizza per controllare e coordinare i movimenti del corpo. Quando questi neuroni muoiono o subiscono un danno, la produzione di dopamina subisce un calo e ciò comporta che al cervello manchi un messaggero fondamentale a dirigere e coordinare i movimenti del corpo. Non a caso, alcuni dei sintomi tipici del Parkinson sono: lentezza nei movimenti, tremori, rigidità muscolare, ecc.

Cosa causa la morte dei neuroni dopaminergici?

Attualmente, nonostante i numerosi studi in merito, rimane ancora sconosciuta la causa precisa della perdita di neuroni appartenenti alla substantia nigra. L’ipotesi più concreta a riguardo è che la malattia scaturisca da una combinazione di fattori genetici e ambientali:
  • Fattori genetici: esistono dei geni la cui mutazione aumenta il rischio di Parkinson. Si tratta di mutazioni rare, che però possono essere trasmesse dai genitori ai figli al momento del concepimento (questo spiega come mai in alcune famiglie il Parkinson rappresenta una condizione ricorrente). La ricerca, inoltre, ha osservato che esistono variazioni genetiche (che non sono esattamente mutazioni), che si associano a un rischio maggiore di Parkinson, non particolarmente elevato, ma comunque significativo (presentare queste variazioni non significa necessariamente che la persona si ammalerà di Parkinson, ma solo che è più a rischio).
  • Fattori ambientali: alcuni studi scientifici suggeriscono che l’esposizione ai pesticidi o agli erbicidi, e l’inquinamento ambientale e industriale, costituiscano un fattore di rischio per il morbo di Parkinson. Si tratta, tuttavia, di evidenze che meritano approfondimenti, poiché il collegamento non è così significativo.

Come cambia il cervello nei malati di Parkinson?

Per motivi ancora poco compresi, il cervello dei malati di Parkinson subisce diversi cambiamenti in seguito alla comparsa della malattia. Uno dei cambiamenti più rappresentativi e studiati è la formazione anomala, all’interno dei neuroni, di aggregati proteici noti con il nome di corpi di Lewy. Osservabili soltanto al microscopio, i corpi di Lewy che caratterizzano il Parkinson contengono prevalentemente alfa-sinucleina, una proteina che, in forma aggregata, è non solo impossibile da scomporre per i neuroni, ma anche citotossica (tossica per la cellula). La ricerca di una terapia efficace contro il Parkinson sta vagliando varie strategie, compreso un modo per indurre la scomposizione degli aggregati di alfa-sinucleina presenti a livello neuronale.

Come si manifesta: sintomi e segnali precoci

Il Parkinson è una malattia caratterizzata da un’evoluzione molto lenta. Inizialmente, i sintomi potrebbero essere appena accennati; con il passare del tempo, però, si assiste a un loro graduale e inesorabile peggioramento, che, agli stadi finali della malattia, compromette in modo drastico la qualità di vita del paziente. La progressione del morbo di Parkinson varia da malato a malato, ragion per cui è difficile definire un quadro clinico preciso. Il Parkinson è noto soprattutto per causare sintomi motori; in realtà, però, a un certo stadio, è responsabile anche di sintomi non collegati al movimento e che possono riguardare, per esempio, le capacità cognitive, il comportamento, il controllo degli sfinteri, ecc. Tra i tipici sintomi motori, figurano:
  • tremore;
  • lentezza nei movimenti (bradicinesia);
  • rigidità muscolare;
  • alterazione della postura;
  • problemi di equilibrio;
  • perdita dei movimenti automatici;
  • alterazioni della postura.
Tra i classici sintomi non motori, invece, si segnalano:
  • anosmia (perdita del gusto);
  • incontinenza urinaria;
  • costipazione;
  • dolore neuropatico;
  • disfunzione erettile, nell’uomo, e disfunzione sessuale femminile, nella donna;
  • cambiamenti nel modo di parlare e di scrivere;
  • ipotensione ortostatica (si tratta di un calo pressorio che si verifica quando la persona si alza dalla posizione seduta);
  • disturbi del sonno;
  • disturbi psichiatrici;
  • eccessiva produzione di saliva;
  • iperidrosi (sudorazione eccessiva);
  • disfagia;
  • manifestazioni di demenza.

Stadi del Parkinson

L’evoluzione dei sintomi del Parkinson può suddividersi in 5 stadi, che indichiamo di seguito.
  • Stadio 1: in questa primissima fase, i sintomi sono lievi e non interferiscono con le attività quotidiane. Tremore e altri sintomi motori sono presenti solo su un lato del corpo. La malattia potrebbe causare cambiamenti nella postura, nella camminata e nelle espressioni facciali.
  • Stadio 2: i sintomi cominciano a peggiorare e riguardano entrambi i lati del corpo. I problemi di deambulazione e quelli posturali diventano evidenti; la bradicinesia peggiora. Il paziente è in grado di vivere da solo, ma impiega più tempo a svolgere le varie attività quotidiane.
  • Stadio 3: si caratterizza per un ulteriore peggioramento dei sintomi e per l’instaurarsi di problemi di equilibrio importanti. In questa fase, le cadute diventano frequenti. Il paziente è ancora in grado di svolgere in autonomia le attività quotidiana, ma le difficoltà nel farle sono aumentate ulteriormente. La disabilità è considerata ancora di grado lieve-moderata.
  • Stadio 4: i sintomi peggiorano ancora e diventano invalidanti. Il paziente è ancora in grado di deambulare, ma ha bisogno di un sostegno (es: bastone). In questa fase, il malato comincia ad aver bisogno di un aiuto durante la vita quotidiana.
  • Stadio 5: la malattia è diventata ormai completamente invalidante. La rigidità delle gambe impedisce di camminare. Il paziente ha bisogno di assistenza 24 ore su 24.

Come si esegue la diagnosi?

Attualmente, non esiste un test diagnostico specifico per il morbo di Parkinson. Per la diagnosi di Parkinson, quindi, i medici devono affidarsi a una serie di esami che, anche per esclusione (diagnosi differenziale), permettano di interpretare correttamente la sintomatologia. Più precisamente, ricorrono a:
  • raccolta dei sintomi;
  • anamnesi;
  • esame obiettivo;
  • valutazione neurologica.
Possono essere eseguiti anche degli esami del sangue. Il Parkinson non altera i valori sanguigni, a differenza di altre condizioni che causano sintomi simili. Ecco, allora, che un esame del profilo ematico può aiutare nel percorso di diagnosi differenziale, per escludere altre patologie. Sempre nell’ambito della diagnosi differenziale, il neurologo potrebbe prescrivere degli esami di imaging (risonanza magnetica del cervello, TAC cerebrale e PET). Il Parkinson non causa alterazioni cerebrali visibili tramite queste procedure, diversamente da altre patologie neurodegenerative. Ecco, allora, come per gli esami del sangue, la diagnostica per immagini riferita al cervello può fornire un grosso aiuto per escludere altre cause. Infine, si esegue il test di risposta alla levodopa, un comune medicinale usato nella gestione del morbo di Parkinson. Il suo impiego in fase diagnostica permette di capire se il paziente soffre della malattia; infatti, in un soggetto malato di Parkinson, una corretta somministrazione di questo medicinale induce un miglioramento della sintomatologia. È da segnalare che, da poco tempo, esiste una procedura radiologica all’avanguardia, nota come DATSCAN (scansione del trasportatore della dopamina), che permette di studiare la quota di dopamina presente nei nuclei della base, l’area cerebrale che nei pazienti con Parkinson è carente del suddetto neurotrasmettitore. Nonostante questa capacità, il DATSCAN non è ancora considerato un test specifico; per la diagnosi definitiva, infatti, rimane sempre valido l’approccio sopra descritto, basato sulla valutazione dei sintomi, sulla visita neurologica e sulla diagnosi differenziale.

Trattamento del morbo di Parkinson

A oggi, purtroppo, non esiste una cura specifica per il morbo di Parkinson, dove per cura specifica si intende una terapia che guarisca la malattia. Le persone affette da questa condizione, tuttavia, possono contare su diversi trattamenti sintomatici, compresi farmaci, che sono in grado di migliorare il quadro sintomatologico e rallentare la progressione della patologia. In casi estremi, inoltre, esiste anche la possibilità di ricorrere alla chirurgia. Prima di vedere nello specifico le varie opzioni terapeutiche, è importante ricordare che ogni paziente affetto da Parkinson rappresenta un caso a sé stante, che risponde ai trattamenti in modo differente da un’altra persona affetta dalla stessa malattia.

Farmaci per il Parkinson

I farmaci per il Parkinson sono rivolti soprattutto al controllo dei tremori e dei problemi di coordinazione. In linea generale, si tratta di medicinali mirati a stimolare la produzione di dopamina e a svolgere il ruolo della dopamina. Inizialmente, sono efficaci nella maggior parte dei casi; con il tempo, però, i benefici da essi derivanti si riducono. Tra i farmaci impiegati nella gestione del morbo di Parkinson, si segnalano:
  • Carbidopa-levodopa per via orale: la sopra citata levodopa è il farmaco più efficace per la gestione di sintomi correlati al Parkinson. Si tratta di una sostanza naturale che, una volta assunta, riesce a raggiungere le cellule nervose e, qui, subisce la conversione in dopamina. La levodopa, quindi, serve a contrastare la riduzione dei livelli di dopamina, tipici della malattia. Il carbidopa, invece, è una sostanza che permette di ridurre gli effetti collaterali della levodopa e ne impedisce la conversione precoce al di fuori del cervello (se la conversione avviene al di fuori delle cellule nervose del cervello, gli effetti della levodopa sono ridotti). Inizialmente, il trattamento con levodopa migliora visibilmente la sintomatologia. Con il tempo, però, i benefici si riducono. Inoltre, potrebbe indurre dei movimenti involontari noti come discinesia, controllabili in parte modificando la dose e l’orario di somministrazione. Tra gli effetti collaterali della levodopa si segnalano anche nausea, vertigini e stanchezza.
  • Carbidopa-levodopa per via inalatoria: rappresenta un trattamento alternativo al precedente, quando l’assunzione per via orale non apporta benefici.
  • Carbidopa-levodopa per infusione: prevede l’infusione della levodopa direttamente nell’intestino tenue del malato, tramite una sonda per alimentazione. Questa soluzione trova impiego nei malati con Parkinson avanzato, che rispondono ancora alla levodopa ma tale risposta è influenzata in negativo dalla classica assunzione per via orale. Per piazzare la sonda per l’alimentazione è necessario un intervento chirurgico apposito.
  • Agonisti della dopamina: questi farmaci mimano gli effetti della dopamina nel cervello. Non sono efficaci come la levodopa, ma hanno effetti più prolungati e si possono usare in combinazione alla levodopa, per stabilizzarne gli effetti. Agonisti della dopamina usati comunemente in caso di Parkinson sono il pramipexolo, la rotigotina e l’apomorfina. I principali effetti avversi sono nausea, vertigini, allucinazioni, sonnolenza e comportamenti compulsivi (ipersessualità, tendenza al gioco d’azzardo, mangiare troppo ecc.).
  • Inibitori della monoamino ossidasi B (MAO B): questi medicinali interrompono il processo di degradazione della dopamina cerebrale, attraverso l’inibizione dell’enzima preposto, chiamato monoamino ossidasi B (MAO B). Gli inibitori della MAO B sono tipicamente usati in combinazione con levodopa, per prolungare gli effetti di quest’ultima. Tra gli inibitori della MAO B impiegati solitamente in presenza di Parkinson figurano selegilina, rasagilina e safinamide. I principali effetti collaterali sono mal di testa, nausea e insonnia
  • Inibitori delle catecol-O-metiltrasferasi (COMT): sono farmaci impiegati per prolungare gli effetti della levodopa, in quanto bloccano la scomposizione della dopamina. Esempi di inibitori delle catecol-O-metitrasferasi sono l’entacapone e l’opicapone. Tra i potenziali effetti collaterali si segnalano discinesia (alternanza di movimenti ipercinetici ed ipocinetici), nausea, diarrea e vomito
  • Anticolinergici: servono per controllare i tremori causati dal Parkinson. Si usavano più spesso in passato, quando la disponibilità di farmaci alternativi era inferiore. Possono causare diversi effetti collaterali, tra cui problemi di memoria, allucinazioni, confusione, stitichezza, secchezza delle fauci e problemi a urinare.
  • Amantadina: può trovare impiego da sola, agli esordi della malattia, oppure in associazione a cardidopa-levodopa, nelle fasi più avanzate della malattia. Serve a controllare i sintomi del Parkinson. Tra gli effetti collaterali si segnalano gonfiore alle caviglie, allucinazioni e cambiamenti del colore della pelle.
  • Antagonisti per i recettori dell’adenosina (A2A): questi farmaci agiscono sulle aree cerebrali che controllano la risposta alla dopamina e inducono un maggiore rilascio di questo neurotrasmettitore. Tra gli A2A più impiegati in caso di Parkinson, si segnala l’istradefillina.

Fisioterapia

Tramite esercizi di stretching e rinforzo, la fisioterapia mira a contrastare la rigidità muscolare e a migliorare la deambulazione e la flessibilità dei muscoli. Una buona fisioterapia, inoltre, permette al paziente di rimanere autonomo per più tempo.

Terapia del linguaggio

La logopedia serve a limitare i problemi di deglutizione e di linguaggio nei pazienti che presentano queste problematiche.

Dieta

Alcuni malati di Parkinson possono trarre giovamento dall’adozione di alcune abitudini alimentari. Senza dubbio, una delle raccomandazioni dietetiche più diffuse è consumare cibi ad alto contenuto di fibre e bere sufficiente acqua, così da limitare il problema della costipazione. Per altri consigli, è bene rivolgersi a un dietologo esperto in morbo di Parkinson, il quale pianificherà una dieta su misura e aggiornata alle ultime evidenze scientifiche.

Chirurgia: la stimolazione cerebrale profonda

I pazienti con Parkinson avanzato, e che non rispondono più correttamente al trattamento con levodopa, sono i potenziali candidati a un intervento chirurgico chiamato stimolazione cerebrale profonda. Questa procedura prevede, contemporaneamente, l’impianto di elettrocateteri a livello cerebrale, per l’esattezza nelle aree che controllano i movimenti del corpo, e l’applicazione di un dispositivo medico simile a un pacemaker a livello toracico. Opportunamente collegato agli elettrocateteri cerebrali, questo dispositivo è in grado di inviare degli impulsi elettrici che hanno l’effetto di bloccare i segnali nervosi responsabili dei sintomi motori tipici del Parkinson. Il ricorso alla stimolazione cerebrale profonda avviene di rado, poiché l’intervento chirurgico per l’installazione delle varie componenti è invasivo e ad alto rischio (infezione, ictus, emorragia cerebrale). I medici attuano questo trattamento solo dopo un’opportuna valutazione del rapporto rischi/benefici.

Esercizio fisico

Fare attività fisica regolarmente contrasta la rigidità regolare e allevia lo stress che può derivare dalla consapevolezza di soffrire di una malattia degenerativa incurabile. Inizialmente, quando i sintomi sono ancora lievi, il paziente può svolgere anche attività di una certa intensità (es: ciclismo); in una fase successiva, deve virare su un esercizio fisico più leggero, compatibile con le facoltà motorie del momento (es: camminata). Vaccinazioni I medici consigliano alle persone che soffrono di malattie croniche come il Parkinson di sottoporsi alla vaccinazione antinfluenzale annuale e al vaccino anti-pneumococcico, che protegge contro la polmonite pneumococcica. Tale consiglio deriva dal fatto che i malati di Parkinson sono più suscettibili alle infezioni e potrebbe sviluppare più facilmente le complicanze correlate.

Terapia occupazionale

Con il tempo, il morbo di Parkinson può compromettere la capacità di svolgere le normali attività quotidiane, come lavarsi, vestirsi, andare a fare la spesa ecc. La terapia occupazionale ha l’obiettivo di insegnare al paziente delle strategie alternative che permettano di svolgere in autonomia, fintanto che è possibile, le attività quotidiane che cominciano a risultare difficoltose.

Conclusioni

In conclusione, il morbo di Parkinson rappresenta una sfida significativa per i pazienti, i loro familiari e gli operatori sanitari. Come abbiamo visto, le cause rimangono in gran parte elusive, i sintomi possono variare ampiamente da persona a persona, e avere un impatto significativo sulla qualità della vita. Tuttavia, grazie ai progressi nella ricerca e nello sviluppo di terapie innovative, è possibile gestire efficacemente molti dei sintomi associati al morbo di Parkinson. Con un impegno continuo nella ricerca e nell'assistenza sanitaria, possiamo sperare di migliorare sempre di più la vita delle persone colpite dal morbo di Parkinson.

Autore: Redazione Sanimoda